Ormai lo sappiamo tutti, questa è una pandemia che, assieme alla crisi sanitaria, porterà con sè una crisi economica senza precedenti. In questi giorni si naviga a vista, guardando agli aiuti che possono arrivare dal Governo, alla situazione dei propri clienti e a come si evolve il contesto economico, in Italia e nel resto del mondo. Ho avuto modo di riflettere, ho ripensato alla storia di Spai, i sacrifici, gli errori, i momenti difficili e quelli di crescita, ho cercato di ripercorrerli, per capire quello che sta succedendo ed essere pronto alle sfide che dovremo affrontare nei prossimi mesi, non sarà facile.
A dicembre 2007 Spai aveva raggiunto il massimo fatturato e, contestualmente, il numero più alto di dipendenti. Proprio in quei giorni uno dei nostri tecnici aveva deciso di abbandonarci e la cosa più importante, nei miei pensieri, era reintegrare il posto vacante. La grande mole di lavoro e queste urgenze quotidiane non mi avevano permesso di notare che all’orizzonte si addensavano le nubi di una crisi economica globale. Io ero immerso nel lavoro di tutti i giorni, nella produttività, mi sembrava che tutto andasse bene perché in quel momento c’era lavoro e perché l’ultimo periodo di crisi avuta risaliva al terzo mese dopo l’apertura dell’azienda, nel lontano 1998.
Una crisi globale investe tutti, ma di certo c’è chi è preparato ad affrontarla e chi lo è meno. Facendo mente locale e tornando a quei giorni, le considerazioni che posso fare ora mi portano a individuare una serie di errori che feci in quel momento:
Poi un giorno mi ero svegliato, dovevo preparare i bonifici per gli stipendi e, in quel momento, mi ero accorto che avevo pochi, pochissimi soldi. Ma come, mi ero domandato, all’inizio dell’anno eravamo al top, e ora quasi nulla, cos’è successo?! Era bastato un controllo per rendermi conto che nei due mesi precedenti avevo fatturato poco o nulla. Non ci avevo fatto caso? Si, ma mi ero dato la solita, comoda risposta: può succedere, recupererò il mese successivo, tornerò a fatturare come prima. Tutto ciò senza controllare le commesse, e senza verificare se ci sarebbe stato veramente qualcosa da fatturare il mese dopo. Quando mi ero reso conto che la situazione era grave era ormai troppo tardi, non avevo liquidità, i clienti non avevano più nulla da farmi fare, perché l’economia, nel contempo, si era fermata, non avevo nemmeno un’idea su quando questa situazione sarebbe tornatoa alla “normalità”, se mai ci sarebbe tornata. Come se non bastasse, avevo scoperto di non avere la cassa integrazione ordinaria, il mio CCNL non la prevedeva. Le informazioni sugli ammortizzatori sociali sfuggivano alla mia comprensione, mi affidavo a quello che sentivo dire da altri imprenditori, in televisione, sui giornali. L’unica soluzione che vedevo all’orizzonte era quella di ridurre il personale per diminuire i costi. In realtà mi sarei poi accorto che l’effetto sarebbe stato molto meno efficace rispetto a quanto mi sarei immaginato. Tra TFR e ferie non godute da pagare, avevo l’impressione che il peso dei costi del personale non fosse diminuito, con una grossa differenza, però, parte del personale non c’era più. I soldi continuavano a uscire, i miei dipendenti non erano più in azienda. La cosa peggiore, poi, era stata quella di dover licenziare delle persone che non lo meritavano, una ferita che mi ha lasciato un segno che tutt’ora porto dentro.
Si fanno sacrifici: si pagano gli stipendi e si riduce il proprio. Tieni duro fino al prossimo mese sperando di incassare abbastanza per pagare tutti. Ed è quello che accadde. Era magia, fortuna o ripresa? Non lo sapevo, speravo soltanto che continuasse così, ma nel dubbio non toccavo nulla. Si andava avanti e il lavoro piano piano aumentava, sempre più velocemente. Probabilmente dipendeva dal settore commerciale in cui operavo o dai rami secchi caduti in quel periodo di crisi, cominciavo a pormi qualche domanda e a guardare con più fiducia al futuro. Non mi fidavo ancora, poteva essere una bolla e io non volevo assumere altre persone per poi trovarmi di nuovo nella drammatica situazione di licenziarli, dovevo tenere duro con le persone che avevo. Questo era l’ennesimo errore perché intanto stava arrivando la crisi di crescita, troppo lavoro per poterlo evadere con le attuali risorse. Entravano anche nuovi clienti, che fare? Rinunciarvi e ricominciare ad operare come avevo sempre fatto o premere sull’acceleratore e diventare ciò che non ero mai stato?
Gli errori servono ad imparare e la prima lezione era questa: “un’azienda è come una barca che si trova in prossimità di una cascata, se non remi prima o poi cadrai nella cascata, se inizi a remare, più forte lo farai e più ti metterai in sicurezza”. Un’azienda non può stare ferma se vuole sopravvivere, DEVE remare! Ok, era il giunto il momento di fare il grande passo.
Se guardiamo il passato ci rendiamo conto che molte guerre, sviluppi sociali, catastrofi economiche e anni di prosperità sono stati spesso la conseguenza di scelte personali dei governanti che hanno guidato le nazioni del mondo. Il benessere di una nazione non dovrebbe dipendere dall’umore di una persona, ma ahimè, che ci piaccia oppure no, accade molto più spesso di quanto ce ne rendiamo conto. Per le aziende vige la stessa regola, anzi, a differenza della maggior parte delle nazioni del mondo, dove l’avvento della democrazia ha frenato queste istanze personali, nelle aziende spesso è ancora l’umore del proprietario a decidere le sorti. Giusto? Sbagliato? Non importa, è un dato di fatto. Per la SPAI le cose non sono diverse. La SPAI è stata dormiente sino a quando io sono stato dormiente, è stata in crisi quando io sono stato in crisi e si è sviluppata quando ho avuto necessità di svilupparmi. Nel 2013 la mia vita personale aveva avuto un grosso cambiamento che aveva richiesto un aumento delle mie disponibilità economiche. Era tempo di crescere, salutare il bambino per dare spazio all’uomo.
La crisi di crescita ha imposto valutazioni che comportavano un certo rischio. Il rischio era che non potevi prevedere il futuro, ma allora come ridurlo? Queste sono alcune azioni che, a mio parere, sono state e sono tutt’ora essenziali per far crescere un’azienda:
L’informazione è importantissima. Ascoltare cosa succede attorno a noi è fondamentale, ascoltare le fonti corrette ancora di più. A volte, però, ci si sofferma molto su ciò che sembra avere una correlazione immediata e diretta con il nostro mondo e si ignorano altre informazioni di “dettaglio”, che lasciamo andare come parole al vento. Una mattina di qualche settimana fa mia madre mi chiama e dice: “hai sentito cosa sta succedendo in Cina?” Io la liquido in due parole dicendole di non preoccuparsi, che si tratta di un altro continente, un paese lontano da qui, che tutto si metterà a posto in tempi brevi e per noi non c’è alcun pericolo.
Il giorno successivo mi richiama e dice: “hai sentito che le banche sono in crisi, perderemo tutto?” Infastidito, cerco di rassicurarla, il sistema bancario è stabile e iper protetto, le dico. D’altronde io ascolto fonti ben più autorevoli… Però mi sorge un dubbio. Dopo qualche giorno, anche le mie fonti più attendibili iniziano a trattare il tema del coronavirus che si sta diffondendo in Cina. Tutti ormai sanno di questo potenziale pericolo, ma sembra essere soltanto un problema cinese, noi siamo troppo in gamba rispetto a loro, ce la caveremo senza problemi. Per i cinesi è un problema perché non lo sanno gestire, per noi no, abbiamo la situazione sotto controllo. Nel frattempo, in televisione iniziano a mostrare le contromisure prese anche nelle nazioni occidentali, si comincia a misurare la febbre a chi arriva direttamente dalla regione di Wuhan, qualche contagio in Sud Corea, in Giappone…. Ora, anche un bambino sa che, in fase di incubazione, una malattia non mostra sintomi, e così il virus ha potuto viaggiare indisturbato tra aerei e navi, superando le frontiere e facendo presto il giro del mondo. Il resto è cronaca di questi giorni.
Fabio Farneti